Una volta, durante un allenamento in piscina, ho incontrato un nuotatore di fondo che stava completando il suo training: “quanti chilometri nuoti al giorno?” gli chiedo, e mi risponde: “all’incirca 18”.
Rimango letteralmente esterrefatta di fronte a una simile affermazione e inizio a pensare: 18 chilometri? In piscina? Praticamente 360 vasche da 50 metri o 720 da 25. Chissà cosa penserà per tutto quel tempo, a fissare la riga blu sul fondo, mi domando. Dopo qualche istante di smarrimento ho iniziato a riflettere sui miei pensieri nel nuoto e se, effettivamente, quella riga blu fosse ciò su focalizzavo il mio allenamento.
Nuotare è, a mio parere, un po’ come meditare. All’inizio del mio allenamento, bracciata dopo bracciata inizio a osservare il fondo della piscina, la mia ombra, l’acqua spostata lentamente e costantemente dal mio corpo. Inizio a percepire l’assenza di gravità, la sensazione di galleggiamento e di leggerezza e a osservare proprio lei, la riga blu. Ma il ruolo di quel segno rassicurante, che mi indica il percorso, rappresenta anche il punto di partenza attraverso cui perdermi nei miei pensieri e nelle mie riflessioni in vasca. Quel colore contrastante rispetto all’acqua della piscina mi ipnotizza, mi distrae, riesce davvero a concedermi la libertà di svuotare la testa, di sciogliere i pensieri nel cloro.
Se dovessero chiedermi ora a cosa penso mentre nuoto risponderei che non lo so davvero. Che quando inizio la mia serie, o la mia scaletta, o i miei quattrocento, mi concentro sulla distanza da percorrere, alla fatica dell’esercizio ma in breve tempo la mia costante reazione in vasca è quella di perdermi, di estraniarmi.
Non domandate a un nuotatore a cosa pensa mentre nuota, perché non saprà dirvelo, non potrà elencarvi a una a una le sue riflessioni, ma con certezza sarà in grado di affermare una cosa: che le preoccupazioni sono rimaste fuori dalla vasca, prima ancora di iniziare l’allenamento.
————